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L illecito di dissesto fraudolento in ambito societario è stato ritoccato sia perché sono cambiate le fattispecie, peculiarità ed aspetti fondanti degli illeciti societari ricordati, sia perché alcune forme di illecito sono state annullate, sia per la supposizione di un fatto, il fallimento, posto in relazione di causalità con il mandato delle azioni previste.

Il termine dissesto societario(1) fa ormai parte del settore giuridico per evidenziare gli eventi di fallimento fraudolento (art. 223, comma 1) e semplice (art. 224, n. 1), attuati dagli istituti amministrativi (funzionari e liquidatori), dalle direzioni e dagli organi di controllo (i soli sindaci) delle aziende che dichiarano fallimento.

Comunemente la nozione indica una sottocategoria del dissesto improprio(2), ovvero del dissesto definito, quanto alla persona attiva dell illecito, dal fatto di essere compiuto da soggetti diversi dal bancarottiere, diversi dall industriale commerciale, quanto alla causa materiale, dal fatto di essere connesso ai beni patrimoniali e alle contabilizzazioni di proprietà di persone diverse da quella che ha compiuto l illecito.

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La verifica dei cambiamenti arrecati alla conformazione di siffatto crimine (che da adesso verrà denominato dissesto da illecito aziendale) ipotizza diverse analisi sull ordinamento in vigore, principalmente sulla definizione dello stesso approvato in ambito giurisprudenziale. Il dissesto da illecito aziendale nell ordinamento in vigore.

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L art. 223, comma 2, n. 1, nell ordinamento in vigore, presumeva che ai funzionari, ai direttori, ai sindaci e ai liquidatori di aziende che avevano dichiarato fallimento venisse applicata la condanna attesa dal comma 1 dell art. 216(6) qualora avessero compiuto «ognuno delle azioni previste dagli artt. 2621, 2622, 2623, 2628, 2630, comma 1, del Codice civilista».

La definizione nella giurisprudenza (7) e, in parte, quella della dottrina (8) non ammetteva che la normativa presa in esame inserisse una situazione di aggravio degli illeciti aziendali nella medesima previsti e l opzione ricadeva sul carattere indipendente dell illecito, convalidata dalla ritenuta applicazione pure alle medesime azioni di dissesto della situazione di aggravio di cui all art. 219, comma 2, n. 1(9).

La disciplina giuridica più avvalorata valutava la tipologia di rischio presunto(10): considerava, principalmente, presunto l oltraggio degli oggetti giuridici salvaguardati, segnatamente, l interesse dei creditori alla tutela dell incolumità del capitale a livello sociale.

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Altra considerazione fondamentale riteneva che, allo scopo dell inserimento del dissesto da illecito aziendale, non era prevista la presenza di una relazione di causalità tra l azione, prevista dalle normative del Codice civilista, e la bancarotta dell azienda(11).

Era tuttavia normale che, per il dissesto da illecito aziendale, venissero imputate azioni (principalmente, informazioni sociali non vere) commesse nel tempo, semmai pure da ricondurre a persone differenti da quelle che, con posteriori azioni illecite, avevano cagionato la crisi finanziaria della azienda(12).

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Il pericolo di colpevolizzare condotte il cui effettivo danno era molto contestabile, qualora non chiaramente inesistente, non era, tuttavia, requisito unico della tipologia presa in esame. Pure le altre circostanze di dissesto, proprio e improprio (escludendo quelle disciplinate dagli artt. 223, comma 2, n. 2, e 224, n. 2, considerate come illeciti di evento, delineato dal fallimento), non localizzando nel tempo una area di pericolo penale(13), permettevano (e permettono) la perseguibilità di azioni attuate pure in periodi precedenti all insorgere di un effettivo rischio di insolvenza.

Le normative penali aziendali previste dal previgente ordinamento in ambito fallimentare. Bisogna considerare alcune normative penali aziendali previste dal previgente ordinamento in ambito fallimentare per rendere meno faticoso, ora che nel diritto penale del settore aziendale è del tutto stata modificata la regolamentazione prevista dagli artt. 2621 - 2640 codice civile, il paragone con le attuali regole previste dall art. 4, D.Lgs. n. 61/2002.

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Non è questo sicuramente l ambito o la sede adatta per esaminare le regole penali aziendali enucleate nella normativa fallimentare(14); lo è, tuttavia, per una veloce elencazione delle stesse (oltre che delle più importanti disposizioni penali eliminate dall elenco della normativa fallimentare) che permetta di identificare le azioni (15) (la cui attuazione, in situazioni di dissesto della azienda, generava la possibilità di dissesto in esame) e gli oggetti giuridici salvaguardati.

L identificazione degli oggetti giuridici salvaguardati dalle normative penali aziendali costituiscono un percorso obbligatorio allo scopo di accertare la conciliabilità dell innesto nella normativa in ambito fallimentare, in quanto si deve considerare che l oggettività a livello giuridico proveniente dall illecito aziendale, se non attribuibile all interesse del patrimonio dei creditori aziendali (e quindi conforme con l oggettività a livello giuridico del dissesto)(16) non sia dissipata, ma generi una circostanza plurioffensiva (17).

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Per questo, i rimproveri più frequenti rivolti alla normativa che incrimina il dissesto da illecito aziendale riguardavano l inserimento nell art. 223, comma 2, n. 1, di normative penali aziendali difformi rispetto al danno procurato dall illecito fallimentare e sull eliminazione, al contrario, di normative che tendevano a salvaguardare i beni patrimoniali della azienda, dunque l interesse dei creditori.

L attuale ridefinizione della normativa che incrimina la bancarotta ha considerato i rimproveri rivolti all antecedente ordinamento, cercando di introdurre, nella normativa fallimentare, soltanto norme penali aziendali equiparabili, quanto agli oggetti giuridici salvaguardati, al dissesto; va precisato, altresì, che siffatta criticità, e il successivo impegno intrapreso dalla legislazione per un suo superamento, ha perso di valore ora che il dissesto da illecito aziendale è stato modificato in illecito di danneggiamento, determinato dal bisogno che l attuazione del fatto, disciplinata dalla medesima normativa penale aziendale, causi, o contribuisca a causare, la bancarotta dell azienda. L art. 223, comma 2, n. 1, citava, prima di tutto, le azioni disciplinate dall art. 2621 codice civile, normativa che considerava tre differenti forme di illecito.

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Le informazioni sociali non vere. L art. 2621, n. 1, codice civile, prevedeva come non vere informazioni sociali le azioni dei funzionari, degli associati, delle amministrazioni, delle direzioni generali, dei sindaci e dei creditori, che nei verbali, nei rendiconti o in altre documentazioni sociali, fraudolentemente evidenziassero fatti non veritieri rispetto alla istituzione o alla situazione finanziaria della azienda o celassero totalmente o solo in parte fatti inerenti le medesime circostanze (la tipologia penale aziendale era perseguibile d ufficio e la condanna prevista era il carcere da 1 a 5 anni e la sanzione convertita in euro da 1032 fino a 10329 euro.

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La definizione in ambito giurisprudenziale (18) aveva ridefinito l illecito da un punto di vista plurioffensivo, da una parte, contemplando che la normativa che incriminava il dissesto era tesa a tutelare l interesse sociale in base alla attendibilità e alla correttezza delle informazioni sociali e pure gli interessi personali, di carattere patrimoniale, attribuibili alla azienda, agli associati e ai liquidatori, dall altra parte, evidenziando come a inserire l illecito bastasse, oltre al danno collettivo, il semplice rischio di danno di anche uno solo dei sopramenzionati beni patrimoniali.