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Nel diritto con il termine illecito s intende un comportamento umano contrario all ordinamento giuridico, in quanto costituisce violazione di un dovere o di un obbligo posto da una norma giuridica (detta primaria), al quale un altra norma (detta secondaria) ricollega una sanzione.

Il comportamento che costituisce l illecito può essere commissivo (ossia un azione), quando viola un obbligo o dovere negativo (di non fare), oppure omissivo (ossia un omissione), quando invece viola un obbligo o dovere positivo (di fare o di dare).

Il contrasto tra il comportamento e la norma primaria prende il nome di antigiuridicità. L illecito è un fatto giuridico in quanto una norma giuridica ricollega a esso, quale conseguenza, il sorgere di una situazione giuridica soggettiva, la responsabilità, ossia il dovere di sottostare alla sanzione prevista; si può, quindi, parlare di fatto illecito.

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Negli ordinamenti attuali, di solito, affinché sorga la responsabilità è necessario che il comportamento sia volontario, sicché l illecito viene a configurarsi più precisamente come atto giuridico (e, in particolare, mero atto); si può, quindi, parlare di atto illecito.

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Tuttavia non mancano anche negli ordinamenti attuali casi di responsabilità oggettiva, in cui, cioè, le conseguenze si verificano a prescindere dalla volontarietà del comportamento; in questi casi l illecito non si configura come atto giuridico ma come mero fatto.

Va tenuto presente che in certi ordinamenti i termini fatto illecito (così in Italia) e atto illecito (così in Germania e Svizzera) vengono utilizzati anche con un significato più ristretto, per indicare una particolare specie d illecito, quello civile extracontrattuale.

Il volto della bancarotta fraudolenta da reato societario è stato modificato sia perché sono mutate tipologia, caratteristiche ed elementi costitutivi dei reati societari richiamati, sia perché talune figure di reato sono state abolite, sia per la previsione di un evento, il dissesto, posto in rapporto di causalità con la commissione dei fatti previsti.

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L espressione bancarotta societaria(1) è ormai entrata nel linguaggio giuridico per contrassegnare i fatti di bancarotta, fraudolenta (art. 223, comma 1) e semplice (art. 224, n. 1), commessi dagli organi d amministrazione (amministratori e liquidatori), direzione (i soli direttori generali) e controllo (i soli sindaci) delle società dichiarate fallite.

Nel pensiero comune l espressione designa una sottoclasse della bancarotta impropria(2), vale a dire della bancarotta caratterizzata, quanto al soggetto attivo del reato, dal fatto di essere commessa da persone diverse dal fallito, diverse dall imprenditore commerciale non piccolo, quanto all oggetto materiale, dal fatto di riguardare patrimonio e scritture contabili appartenenti a soggetto diverso da quello che ha commesso il reato(3).

L espressione bancarotta societaria si addice, peraltro, anche alle ipotesi di bancarotta fraudolenta e semplice, contemplate rispettivamente dagli artt. 223, comma 2, e 224, n. 2. L art. 223, comma 2, n. 2, e l art. 224, n. 2, puniscono, a titolo rispettivamente di bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice, gli organi societari sopra indicati che abbiano, con dolo (o per effetto di operazioni dolose) ovvero con inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge, cagionato (nella seconda ipotesi anche aggravato) il dissesto della società.

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L art. 223, comma 2, n. 1, punisce, invece, a titolo di bancarotta fraudolenta e con le pene di cui all art. 216, comma 1, sempre naturalmente che la società sia dichiarata fallita, gli organi societari che abbiano commesso fatti previsti come reati societari da disposizioni del Codice civile.Quest ultima disposizione ha costituito oggetto dell attenzione del legislatore nell ambito della approvata riforma dei reati societari, voluta dall art. 11, legge delega 3 ottobre 2001, n. 366 (di seguito, per brevità, legge n. 366/2001)(4) ed attuata dal D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61, entrato in vigore lo scorso 16 aprile 2002 (di seguito, D.Lgs. n. 61/2002)(5); l art. 11, lett. g) , della legge n. 366/2001 delegava a «riformulare le norme sui reati fallimentari che richiamano reati societari, prevedendo che la pena si applichi alle sole condotte integrative di reati societari che abbiano cagionato o concorso a cagionare il dissesto».La valutazione delle modificazioni apportate alla fisionomia di questo delitto (che d ora in poi si denominerà bancarotta da reato societario) presuppone alcune considerazioni sulla disposizione previgente, segnatamente sull interpretazione della medesima affermatasi in giurisprudenza.La bancarotta da reato societario nel testo previgente

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L art. 223, comma 2, n. 1, nel testo previgente, prevedeva che agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite si applicasse la pena prevista dal comma 1 dell art. 216(6) qualora avessero commesso «alcuno dei fatti preveduti dagli artt. 2621, 2622, 2623, 2628, 2630, comma 1, del Codice civile».

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L interpretazione giurisprudenziale(7) e, almeno in parte, quella dottrinale(8) escludeva che la disposizione in esame integrasse una circostanza aggravante dei reati societari in essa richiamati e optava per la natura autonoma del reato, confermata dalla ritenuta applicabilità anche a questi fatti di bancarotta della circostanza aggravante di cui all art. 219, comma 2, n. 1(9).

La dottrina più accreditata considerava la fattispecie di pericolo presunto(10): riteneva, in particolare, presunta l offesa dei beni giuridici tutelati, segnatamente, l interesse dei creditori alla salvaguardia dell integrità del capitale sociale.

Altro punto fermo dell interpretazione dominante consisteva nell affermare che, ai fini dell integrazione della bancarotta da reato societario, non era richiesta la sussistenza di un nesso di causalità tra il fatto, contemplato dalle disposizioni del Codice civile richiamate, e il dissesto della società(11).

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Era, pertanto, frequente che, a titolo di bancarotta da reato societario, fossero incriminati fatti (in particolare, false comunicazioni sociali) risalenti nel tempo, magari anche attribuibili a soggetti diversi da quelli che, con successive malefatte, avevano determinato l irreversibile crisi economica della società(12).

Il rischio di criminalizzare comportamenti la cui concreta lesività era assai discutibile, quando non certamente insussistente, non era, peraltro, caratteristica esclusiva della fattispecie in esame.Anche le altre ipotesi di bancarotta, propria e impropria (con l esclusione di quelle previste dagli artt. 223, comma 2, n. 2, e 224, n. 2, come si è visto, costruite come reati di evento, rappresentato dal dissesto), non delimitando nel tempo una zona di rischio penale(13), consentivano (e consentono) la perseguibilità di fatti realizzati anche in epoca antecedente all insorgenza di un concreto pericolo d insolvenza.

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Le norme penali societarie richiamate dalla previgente disposizione fallimentare

È opportuno svolgere alcune considerazioni sulle disposizioni penali societarie richiamate dalla previgente disposizione fallimentare per rendere meno arduo, ora che la riforma del diritto penale societario ha radicalmente mutato il contenuto degli artt. 2621 - 2640 cod. civ., il raffronto con la nuova disposizione introdotta dall art. 4, D.Lgs. n. 61/2002. Non è questa naturalmente la sede per una completa esegesi delle disposizioni penali societarie elencate nella norma fallimentare(14); lo è, invece, per una rapida rassegna delle medesime (oltre che delle più rilevanti disposizioni penali escluse dal catalogo contenuto nella norma fallimentare) che consenta di individuare i fatti(15) (la cui commissione, in caso di fallimento della società, dava vita all ipotesi di bancarotta in esame) e i beni giuridici tutelati. La ricognizione dei beni giuridici tutelati dalle singole disposizioni penali societarie rappresenta un passaggio obbligato al fine di verificare la compatibilità dell innesto nella norma fallimentare, dovendosi ritenere che l oggettività giuridica originaria del reato societario, se non riconducibile all interesse patrimoniale dei creditori sociali (e perciò omogenea con l oggettività giuridica della bancarotta)(16) non vada dispersa, ma dia luogo a un fenomeno di plurioffensività(17).Non a caso, le critiche più ricorrenti rivolte alla norma incriminatrice della bancarotta da reato societario si addensavano sull inclusione nell art. 223, comma 2, n. 1, di disposizioni penali societarie disomogenee rispetto alla lesività del reato fallimentare e sull esclusione, viceversa, di norme che miravano a tutelare il patrimonio della società, quindi la garanzia dei creditori.

La nuova formulazione della norma incriminatrice ha tenuto conto delle critiche rivolte alla precedente disposizione, curando di richiamare, all interno della disposizione fallimentare, solo disposizioni penali societarie assimilabili, quanto ai beni giuridici tutelati, alla bancarotta; va anticipato, peraltro, che questo problema, e il conseguente sforzo compiuto dal legislatore per superarlo, ha perso gran parte del suo significato ora che la bancarotta da reato societario è stata trasformata in reato di danno, caratterizzato dalla necessità che la commissione del fatto, previsto dalla disposizione penale societaria richiamata, cagioni, o concorra a cagionare, il dissesto della società.

L art. 223, comma 2, n. 1, richiamava, anzitutto, i fatti previsti dall art. 2621 cod. civ., disposizione che contemplava tre diverse figure di reato.Le false comunicazioni sociali.L art. 2621, n. 1, cod. civ., contemplava come false comunicazioni sociali il fatto dei i promotori, soci fondatori, amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori, i quali nelle relazioni, nei bilanci o in altre comunicazioni sociali, fraudolentemente esponessero fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o sulle condizioni economiche della società o nascondessero in tutto o in parte fatti concernenti le condizioni medesime (la fattispecie penale societaria era procedibile d ufficio e la cornice edittale di pena prevedeva la reclusione da uno a cinque anni e la multa da lire due milioni (1032 euro) a lire venti milioni (10329 euro).

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L interpretazione giurisprudenziale(18) aveva ricostruito il reato in chiave plurioffensiva, da un lato, affermando che la norma incriminatrice era posta a tutela di un interesse collettivo alla veridicità e alla completezza delle comunicazioni sociali e di interessi individuali, di natura patrimoniale, riconducibili alla società, ai soci e ai creditori, dall altro, rilevando come a integrare il reato fosse sufficiente, oltre alla lesione dell interesse collettivo, il mero pericolo di lesione di anche uno soltanto degli anzidetti interessi patrimoniali.